Vizi privati (e pubbliche virtù) dei giovani iraniani

Webreportage per Il Corriere della Sera. 

«Se potessi usare una sola parola per descrivere il mio stato d’animo sceglierei confusione. Mostafa ha 25 anni. Vive con sua madre e i suoi fratelli in un appartamento di Tajrish, nel Nord di Teheran. “A volte vorrei soltanto andarmene. Partire come già hanno fatto molti dei miei amici. Ma non ce la faccio a mollare la mia famiglia. Non ora, anche se mi sento d’esplodere qui. E’ come se m’avessero rubato la leggerezza di essere giovane.»

La generazione dei medio-borghesi di città, quelli tra i venti e trent’anni, nati dopo la rivoluzione del ’79, si trova in bilico tra due sfere culturali opposte e parallele: quella della tradizione culturale persiana, più o meno plasmata dalla versione sciita dell’islamismo, e quella metropolitana contemporanea, infusa di influenze di cultura globale. In Occidente, la retorica che etichetta l’Iran come paese ostile è entrata oramai nell’immaginario collettivo. Ma sarebbe a dir poco fuorviante appiccicare tale definizione ai ragazzi dell’Iran metropolitano contemporaneo, che dell’Occidente nutrono al massimo un po’ d’invidia, per quelle affermate libertà civili che in Iran sono ancora vere e proprie chimere.

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