Sulle bianche scogliere di Dover, Brexit è di casa

Scritto per Left, 18 Giugno 2016  
Cresce la tensione in Regno Unito per il referendum del 23 Giugno, quando l’elettorato si troverà a decidere se rimanere o meno all’interno dell’Unione Europea. Giornali e TV non hanno parlato d’altro nelle ultime due settimane, esasperando le propagande e gli allarmismi lanciati dai due opposti schieramenti. I temi più martellanti, manco a dirlo, sono quelli dell’economia e dell’immigrazione. In prima linea sul fronte del LEAVE c’è l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, che a detta di molti osservatori sta utilizzando il referendum per candidarsi alla leadership del partito conservatore, accompagnato dal ministro della giustizia Michael Gove, dal partito euroscettico UKIP di Nigel Farage e dal Partito per l’Indipendenza del Regno Unito. Nello schieramento del REMAIN c’è invece il premier Cameron, che ha concesso il referendum prima di essere rieletto nel Maggio 2015 e che ora si gioca il premierato in caso di Brexit. Sullo stesso fronte i suoi fedelissimi del partito conservatore, il frammentato partito laburista che opta per un “rimanere in EU per riformarla”, i Liberal Democratici e il Partito Nazionale Scozzese. Shall I stay or should I go? è la questione che ora si dibatte nei pub, nelle strade, nelle scuole e che di fatto trascende le preferenze politiche. Dentro o fuori questa EU? “La popolazione non dovrebbe votare per una questione importante come questa!” borbotta Jackie Bowles, 76 anni e gli occhi brillanti come quelli di una ragazza. Da anni gestisce il pub “Louis Armstrong” nella cittadina di Dover, nella contea del Kent, nel Sud dell’Inghilterra. “Non conosciamo i fatti. Ogni giorno cambio idea su cosa votare” racconta perplessa. Andrew, un disoccupato di 48 anni, è uno dei clienti abituali del suo pub. Con mezza pinta in mano esprime schiettamente le sue idee: “Dobbiamo lasciare l’UE e ripristinare i controlli ai confini per bloccare il flusso migratorio. Gli stranieri ci stanno rubando il lavoro. Non ha senso continuare a far parte di un’Unione che ha costruito più fili spinati di quelli che c’erano durante la Guerra Fredda.” La questione migratoria è senza dubbio la più sentita in questa cittadina che rasenta le 30.000 anime, con pochi giovani e molti pensionati, che potrebbe diventare una nuova frontiera d’Europa. Se il fronte del LEAVE afferma che un controllo efficace della migrazione può avvenire soltanto con la Brexit, i promotori del REMAIN sono convinti che l’uscita dall’UE sposterà di fatto i controlli di confine da Calais a Dover. La cittadina inglese è da sempre uno snodo fondamentale per i trasporti di merci tra il Regno Unito, la Francia e il resto del continente, nonché la prima destinazione dei viaggi avventurosi dei migranti, nascosti sui carichi dei camion o infilati sotto i semirimorchi, per cercare fortuna nel Regno Unito. E’ in questo modo che Mehdi, 26 anni, curdo iracheno di Suleymane, è entrato per la prima volta in Inghilterra quattro anni fa, dopo aver attraversato Iran, Turchia e Grecia ed essere arrivato in barca in Italia dal porto di Patrasso, spendendo una fortuna che ha arricchito le mafie e i trafficanti di uomini. “Ora voglio fare il viaggio inverso e tornare in Francia” mi confida mentre siede di fronte al porto. “Non ho soldi. Ho perso il lavoro. Voglio provare ad andare in Finlandia per ottenere dei sussidi e ricominciare” racconta. Qualche notte fa la polizia portuale lo ha intercettato mentre cercava di imbarcarsi in un traghetto verso Calais, mentre dall’altro lato della Manica sono in centinaia i migranti che cercano di viaggiare in direzione opposta. “In questi anni abbiamo assistito ad un’invasione” raccontano Derrick e Ivone, 72 e 70 anni, seduti su delle sedie da campeggio di fronte a quella striscia di mare che separa l’isola britannica dal resto dell’Europa. “Si stava molto meglio prima dell’ingresso nell’UE”, racconta Derrick, “Voteremo per il LEAVE per riprenderci il Regno Unito e per non trovarci fra 20 anni come una minoranza nel nostro paese.” Un sondaggio dello studio Ipsos Mori ha fatto emergere come il 63% degli intervistati britannici è convinto che la Brexit porterà ad un’effettiva riduzione dell’immigrazione, mentre solo il 25% di loro crede che l’uscita dall’UE porterà ad un ridimensionamento degli standard di vita. Dover è comunque soltanto un simbolo della questione migratoria nell’immaginario collettivo del Regno Unito. I migranti ci passano soltanto in transito, ma è qui che militanti di estrema destra si sono scontrati nei mesi scorsi con gruppi anti-fascisti. Nigel Farage, leader dell’UKIP e principale sostenitore della Brexit in chiave anti-immigrazione, si è fatto vedere spesso in questa contea di cui è originario. “Ha delle idee giuste riguardo agli immigrati” racconta Betty Hook, una signora di 91 anni che vive di fronte al porto. “Non ha senso che tutta questa gente venga nel nostro paese. Non abbiamo spazio per ospitarli”. Betty ha vissuto per 37 anni in Francia con il marito e voterà per rimanere nell’UE. “Isolarsi dal resto d’Europa non ha senso” mi racconta mostrandomi le foto del figlio ciclista che correva al Tour de France. Non la pensa allo stesso modo Michael, 81 anni, che è deciso a votare per l’uscita dall’UE, convinto che il vero problema dell’Unione sia stato l’allargamento ai paesi dell’Est, che ha fatto aumentare di dieci volte il numero annuale di arrivi nel Regno Unito. Tre milioni di cittadini provenienti da paesi UE vivono attualmente in Gran Bretagna, il 5% della popolazione, ma secondo la ricerca dell’Ipsos Mori la popolazione britannica crede che siano almeno il 15%. “Mi piace l’idea che la gente possa muoversi liberamente da un paese all’altro” racconta Michael, “il problema è che gli inglesi non vanno da nessuna parte, mentre tutti gli stranieri vogliono venire qui.” Gli fa eco Amy, due generazioni più giovane, bancaria. “Vogliamo farci la nostra legislazione sull’immigrazione. Chi arriva in Regno Unito non dovrebbe avere benefici economici almeno per 10 anni. Dobbiamo stabilire un sistema simile a quello australiano, dove gli stranieri al massimo possono fare richiesta di una working visa”, un argomento, quest’ultimo, che ha trovato ampi consensi nel fronte del LEAVE. Secondo Aaron, un pittore di 39 anni, chi voterà per la Brexit è smosso soprattutto da interessi personali. “Chi vuole andarsene non teme i rischi economici immediati della Brexit. La pensano così anche i miei genitori. Hanno una psiche da isolani, vogliono difendere la propria terra da qualsiasi minaccia venga da fuori. Credo sia un fattore storico. Stavolta la minaccia sono gli immigrati.” I sondaggi di YouGov per ora dimostrano un trend opposto, e cioè che più in basso si scende nella scala sociale e più alta è la probabilità che la gente voti per la Brexit. “In realtà nessuno s’immagina cosa succederà il 23 Giugno. Per ora è un mistero per tutti” afferma Aaron perplesso. “E’ interessante che si sia creato un nuovo dibattito politico in Regno Unito, ma credo che questo referendum sia il riflesso di una vera e propria crisi d’identità. Dobbiamo sentirci inglesi, britannici o europei? Forse dovremmo semplicemente sentirci umani.”














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