#RefugeesWelcome all’Hotel occupato di Atene

Scritto per LEFT - 28 Maggio 2016 - I confini tra Afghanistan, Iran, Turchia e la manciata di miglia di mare Egeo tra le coste turche e quelle greche, Umid li ha percorsi nel grembo materno. La madre Nurie avrebbe voluto che il piccolo nascesse in Svizzera, ma è arrivata alla frontiera di Idomeni troppo tardi, quando il confine greco-macedone era stato già definitivamente chiuso. Umid ha visto la luce due mesi fa all’ospedale Alexandria di Atene ed è ora uno dei più giovani inquilini dell’hotel City Plaza, un edificio occupato da un gruppo di attivisti greci e internazionali il 22 Aprile scorso. Situato a due passi da piazza Viktoria, punto d’incontro per i migranti in viaggio verso l’Europa, l’hotel City Plaza rappresenta una singolare convergenza tra la recente travagliata storia economica del paese e il dramma degli oltre 54.000 migranti bloccati nella capitale dopo la chiusura delle frontiere balcaniche. La struttura alberghiera, costruita nel periodo delle Olimpiadi del 2004, quando un’ingente quantità di soldi pubblici veniva sperperata in mazzette e progetti senza futuro, è rimasta per sei e anni e mezzo in stato di abbandono, dopo la definitiva bancarotta, prima di risorgere a nuova vita con l’occupazione. “Abbiamo subito disinfettato l’hotel, portato estintori, riconnesso acqua ed elettricità e offerto queste stanze alle persone che ne avevano bisogno”, racconta a Left Loukia Kotronaki, una degli attivisti che è entrata nell’hotel il primo giorno. All’interno dell’hotel vivono oggi 385 persone migranti, 180 delle quali bambini, che fino a qualche settimana prima erano costrette a dormire per le strade del porto del Pireo o nei campi affollati di Elliniko e Eleonas. “Nelle settimane successive molte altre persone sono venute a chiederci una stanza all’hotel. Abbiamo cercato di fare il possibile per accontentare chi ne aveva bisogno, ma è stata dura non poter offrire un posto a tutte loro” racconta Loukia. La denuncia della precedente gestione dell’hotel non è si è fatta attendere, ma è dagli ex impiegati della struttura che è arrivata un’inaspettata manifestazione di solidarietà. “I beni all’interno dell’hotel appartengono a noi, il loro valore corrisponde ai pagamenti che non abbiamo ricevuto” recita il comunicato firmato dagli ex lavoratori, “e siamo ben felici questi beni siano a disposizione di questo progetto di accoglienza ai migranti”. Tra i responsabili dell’occupazione anche Yiannis Andrulakis, giornalista radiofonico e figlio lui stesso di un rifugiato greco, che ha ottenuto asilo politico in Francia durante il regime dei colonnelli. “L’Europa ha applicato una politica razzista verso i rifugiati” racconta a Left, “per questo faremo tutto il possibile per aiutare chi è bloccato nel nostro paese. I centri di detenzione sono una vergogna per la nostra civiltà. Non possiamo considerare le 54000 persone bloccate in Grecia come un problema reale, quando il Libano ne ospita oltre un milione. Queste persone non devono sentirsi emarginate ed è nostro dovere fare il possibile per integrarli nella società. Lo stato potrebbe trovare spazio per ognuno di loro, con tutti gli edifici vuoti che ci sono ad Atene, ma preferisce aspettare che la gente sia esausta e decida di tornare ai loro paesi di provenienza, dove non vuol tornare…”
Nel corso di queste settimane all’hotel Plaza hanno trovato alloggio cittadini siriani, afghani, curdi, iraniani, iracheni e pachistani. Alcuni di loro hanno delle storie traumatiche alle spalle, oltre all’incertezza di un futuro tutto da riscrivere. Ali, afghano di 35 anni, sta cercando di trovare delle cure per la moglie malata di cancro. Si è portato con sé la documentazione del caso e con l’aiuto di alcuni volontari, che parlano persiano, è ora alla ricerca di una soluzione. Nesrin, ragazza siriana di 28 anni, ha lasciato il suo lavoro di insegnante di inglese per mettersi in viaggio con la cugina Bushra e i loro figli, quando le frontiere erano ancora aperte, con l’intento di raggiungere i coniugi che risiedono in Germania dall’estate scorsa. Nesrin ostenta ottimismo, nonostante i suoi genitori siano bloccati ad Aleppo e debbano nascondersi nei sotterranei della città per scampare alle bombe e agli attacchi di queste settimane. “Ogni sera li sento al telefono” racconta a Left, “e ogni volta chiedo loro se respirano ancora…sono molto preoccupata.” Nesrin ha fatto domanda di ricongiungimento familiare qualche giorno fa ma è cosciente che questo procedimento possa richiedere dei mesi o addirittura degli anni. Per ora cerca di rendersi utile all’hotel con le traduzioni. “Non vorrei essere qui” racconta preparando una tazza di tè per il figlio, “ma mi sento molto meglio in un progetto di questo tipo che altrove. I greci si sono dimostrati delle persone molto gentili. Ho la sensazione che capiscano la nostra situazione, probabilmente a causa della loro storia e delle difficoltà economiche che stanno attraversando”. Nesrin, come molti altri ospiti dell’hotel, ha preso sul serio la filosofia dell’occupazione, che consiste nella cooperazione totale tra i rifugiati e i volontari e da gruppi di lavoro collettivi. Migranti e volontari cucinano insieme, si prendono cura delle pulizie e organizzano corsi di lingue. Di tanto in tanto qualche musicista arriva a far danzare i tanti bambini che per ora vivono all’hotel. “L’idea è che ad un certo punto gli inquilini dell’hotel possano gestirsi da soli” ci racconta ancora Loukia Kotronaki, che spesso coordina le discussioni nelle assemblee, nelle quali si decidono le regole di comportamento all’interno negli spazi pubblici e privati dell’hotel City Plaza. “All’inizio i rifugiati non capivano perché stiamo facendo questo per loro. Pensavano che fossimo delle istituzioni ufficiali o delle ONG, ma piano piano si stanno rendendo conto che siamo soltanto dei cittadini volenterosi e idealisti”. L’entusiasmo e l’interesse suscitati da questo progetto sono grandi, almeno tanto quanto i rischi e le difficoltà di un progetto di queste proporzioni. Gli occupanti si sono per ora allacciati agli edifici circostanti per far arrivare un minimo di acqua ed elettricità all’hotel. Nonostante le continue assemblee, non tutti i nuovi inquilini dell’hotel hanno compreso l’importanza delle regole di sicurezza interna ed i grossi rischi che corrono gli occupanti se qualcosa andasse storto. C’è inoltre il rischio di essere sfrattati da un momento all’altro, eventualità che per alcune persone significherebbe un drammatico ritorno alla strada. Tra i volontari però nessuno sembra davvero preoccuparsi di uno scenario di questo tipo. “La popolarità di Tsipras è già ai livelli minimi dopo le recenti riforme alle pensioni e le nuove politiche di austerità” racconta Sotiria, 24 anni, che per un paio di giorni a settimana si prende cura di far giocare i bambini dell’hotel. “Bloccare un progetto di questo tipo sarebbe un vero boomerang per Syriza. Il governo dovrebbe al contrario imparare dal nostro progetto. In un mese abbiamo dimostrato di poter vivere insieme e di poter organizzarci da soli. Speriamo davvero che questo progetto serva d’ispirazione.”




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