Non vogliamo più Belo Monte
January 18, 2023Scritto per Il Reportage - É una serata festosa nella città di Altamira, stato di Parà, Brasile. Adolescenti ronzano con i loro motorini per il lungofiume, famiglie siedono nei chioschi ristorante all’aperto, una banda si prepara a un concerto nella piazzetta dell’Avenida Tapajos. Dall’altro lato del fiume Xingu, un isolotto di foresta brucia, ma nessuno sembra farci minimamente caso. “Accade piuttosto spesso” racconta Fernanda, una cameriera di un ristorante che sta servendo a dei clienti dell’açai, il frutto più popolare dell’Amazzonia brasiliana. “Credo di averne visti almeno un paio a settimana negli ultimi tempi” aggiunge senza troppo scomporsi. É incredibile come la foresta in fiamme ormai non faccia più notizia da queste parti. Negli ultimi quattro anni, con il governo ultra-conservatore di Jair Bolsonaro, gli incendi in Amazzonia sono aumentati considevorevolmente, per far spazio a coltivazioni e pascoli. Dai 7.5 chilometri quadrati di deforestazione del 2018 si è arrivati fino ai 13mila dello scorso anno. Ragione per la quale gli occhi del mondo hanno osservato con ansia le ultime elezioni politiche in Brasile, considerate fondamentali per il destino della foresta pluviale più importante del pianeta. Luiz Inácio Lula da Silva, dopo i 580 giorni di prigionia che lo hanno tagliato fuori dall’ultima tornata elettorale, ha sfidato il “capitano” Bolsonaro anche sul tema dell’Amazzonia e dei popoli indigeni, portando a casa una vittoria di un soffio al secondo turno, prevalendo con un misero quanto fondamentale 1,8% di scarto. “Non ammetteremo che l’Amazzonia sia una terra senza legge” ha affermato convinto durante il suo discorso d’insediamento a Brasilia di capodanno. “Non tollereremo la distruzione dell’ambiente. Revocheremo ogni ingiustizia contro i popoli indigeni”.