L’Aquila chiama Amatrice tra rabbia e speranza

Scritto per Left, 3 Settembre 2016
A vederlo dal ponte Belvedere, ancora transennato ed inagibile al traffico, il centro storico dell’Aquila appare come un paziente convalescente, che una decina di gru gialle e blu stanno cercando di riportare in vita. Una gran parte degli edifici del centro sono ancora puntellati, alcuni sono stati ristrutturati e messi in vendita, ma il ripopolamento procede a rilento e la città è un cantiere a cielo aperto. Alcuni edifici signorili sono stati lentamente riportati ad un nuovo splendore, ma i costi degli affitti sono altissimi, nonostante le restaurazioni siano state finanziate con miliardi di euro di soldi pubblici. Altri sono ancora a pezzi, nelle stesse condizioni dell’indomani di quella scossa. Case con i muri crepati, scuole abbandonate, finestre aperte che lasciano intravedere stanze devastate, mucchi di sassi, desolazione. Entro il 2017 la ricostruzione avrebbe dovuto terminare: una chimera che ormai nessuno insegue più. A prevalere è piuttosto la cautela, come quella del prefetto dell’Aquila Francesco Alecci: “vaste parti del centro storico dell’Aquila presentano ancor oggi un tasso di pericolosità che io, prefetto, giudico eccessivo”. Eppure qualcosa in questo 2016 si è mosso in senso positivo. Alcuni negozi e bar hanno coraggiosamente riaperto, lasciando intendere, che con un po’ di pazienza, la città potrebbe tornare ad essere anche più bella di prima. Gli eventi di fine estate stavano portando qualche speranza in più, con l’imminente Perdonanza, una serie di eventi che celebrano l’indulgenza plenaria concessa nel 1294 da Celestino V a migliaia di fedeli cristiani, nel giorno della sua incoronazione a pontefice. E poi il tanto atteso festival del jazz, che quest’anno avrebbe dovuto portare un po’ di economia alla città delle novantanove chiese, stremata dal terremoto di sette anni fa. Poi, nella notte tra Martedì 23 Agosto e Mercoledì 24, la terra è tornata a tremare. La paura è tornata a farsi vivida e i brutti ricordi sono riaffiorati all’improvviso. Le immagini di Amatrice rasa al suolo riportano l’incubo anche all’Aquila, distante soltanto una cinquantina di chilometri dal paesino famoso per l’amatriciana. Erano le 3.36 del mattino allora. Erano le 3.32 Mercoledì. Un sisma di magnitudo 6.3 della scala Richter allora, del 6.0 Mercoledì scorso. Coincidenze beffarde. Quel 6 Aprile, Francesca, 36 anni, si era messa a dormire da poco, quando la terra cominciò a tremare. “Questa scossa mi ha fatto molto più male di quella del 2009” racconta. “Quando ti trovi in una catastrofe in prima persona reagisci per istinto di sopravvivenza. Una mia amica è stata schiacciata dalla caduta di un edificio, eppure sono riuscita a mantenere la calma. Ma quando ho rivisto lo specchio di ciò che è successo a noi, la bomba a livello psicologico è stata molto più forte.” Una sofferenza che non risparmia la rabbia, per una tragedia che poteva essere evitata. “Più che gli aiuti, adesso ci servono i becchini” continua con cinismo Francesca. “Ad Amatrice quando sono arrivati i veri soccorsi erano soffocati quasi tutti”. Dopo il sisma, all’Aquila, c’è chi è tornato a dormire in macchina, non fidandosi di stare sotto ad un tetto. C’è chi si è radunato con parenti e amici. C’è chi ha non ha perso tempo per organizzare iniziative di solidarietà. E’ successo alla parrocchia di S.Antonio, a Pile, dove il piazzale della chiesa è diventato un centro di raccolta di articoli e beni sanitari che sono stati consegnati nei paeselli colpiti dal sisma. Caritas, Ugl e il centro territoriale di partecipazione di Paganica hanno allestito punti di raccolta. Anche a Casematte, uno spazio occupato all’interno del vecchio ospedale psichiatrico, che ha ospitato decine di persone nel periodo post-terremoto, la risposta è stata tempestiva. Ogni mattina gruppi di ragazzi partono ad esplorare le zone colpite dal sisma, quelle dimenticate dai media generalisti. Alcuni di loro lavorano per News-Town, un sito d’informazione locale, in prima linea nel raccontare le emergenze di questi anni. “Ad Amatrice si sono riviste certe scene che s’erano viste all’Aquila, per il modo in cui sono caduti gli edifici” racconta Nello Avellani, reporter del quotidiano online. “Ma il paragone si ferma qui. Il numero di residenti effettivi nelle zone colpite è risibile e gli sfollati sono pochi in confronto ai 10.000 dell’Aquila.” Il numero dei morti, ad ogni modo, potrebbe eguagliare le cifre del terremoto del 2009, che è costato la vita a 309 persone. A Villanova, una frazione di Accumoli, luogo dell’epicentro, le strade sono deserte. Non è rimasto nessuno, se non un cane, ancora in gabbia e delle galline in un pollaio. Si piange la perdita di Gabriella, una concittadina, che si trovava ad Amatrice durante la scossa letale. Irma, 76 anni, deve recuperare le chiavi della sua casa di Roma e piange, mentre un elicottero le sorvola la testa. A Villanova, in inverno, rimangono solo una ventina di persone. “Temo che qui non ci rimarrà più nessuno” racconta Augusto, che il paesino l’aveva già lasciato venti anni prima. Anche ad Accumoli regna il silenzio. Nel piccolo borgo ci sono solo forze speciali e mezzi di soccorso. A Pescara del Tronto sono rimaste soltanto macerie. “Questa volta la gente non potrà rimanere nelle tendopoli. Presto in questi paesini farà molto freddo. Devono essere costruite delle unità abitative in fretta” racconta ancora Nello Avellani. All’Aquila la gente è rimasta senza casa per mesi in attesa del famigerato progetto CASE, sbandierato da Berlusconi e costato circa un miliardo di euro allo casse dello stato. Un progetto che è costato un grande lavoro anche alla Procura dell’Aquila, che ha aperto duecento fascicoli legati alle tangenti sugli appalti e alle infiltrazioni mafiose dei casalesi sulla ricostruzione. Alessandro, 24 anni, vive in una di queste abitazioni anti-sismiche costruite in periferia, in queste new town prive di servizi, nel quartiere di Bazzano. “L’anno scorso è crollato un balcone di una di queste case. Sono abitazioni costruite con materiali scadenti. A casa si formano muffe, ci sono perdite dagli scarichi. In più se non hai la macchina qui puoi morire di fare.” Ai negozi distrutti del terremoto, si è sostituito un grande centro commerciale. “Il dopo terremoto è il vero terremoto” racconta Valeria che vive in una di queste new-town. “Siamo ancora in piena emergenza, la città che conoscevamo non esiste più” aggiunge. “Eppure la popolazione è viva, reagisce, risponde. Ad ogni iniziativa la gente prende parte con entusiasmo” racconta Eleonora Fagnani, collaboratrice di News-Town. “Il timore è che questo nuovo terremoto blocchi sul nascere la voglia della gente di tornare a far vivere la nostra città e che smorzi quell’ottimismo, che a fatica, si era finalmente riusciti a far riaffiorare.”



Using Format