Intervista a Sonia Guajajara
January 18, 2023Scritto per Terra Nuova
Di Nicola Zolin e Paloma de Dinechin
Sônia Guajajara, leader indígena inserita nella lista delle 100 persone più influenti del mondo dalla rivista TIME, è recentemente stata eletta deputata federale nella circoscrizione di São Paulo. Potrebbe anche essere scelta come capo del primo Ministero dei Popoli Indigeni e originari, mai creato prima in Brasile, durante il terzo governo di Luiz Inácio Lula da Silva (PT), che sarà presentato nelle prossime settimane.
In questi mesi frenetici, Sônia Guajajara non si è fermata un secondo: marce per il clima, incontri tra popoli indigeni, partecipazione alla Cop 27 e soprattutto una campagna elettorale intensissima a fianco di Luiz Inácio Lula da Silva, rieletto presidente del Brasile per la terza volta, dopo un duello estenuante con l’ex presidente Bolsonaro. Insieme alla sua “bancada del cocar”, un gruppo di giovani indigeni militanti che prende il proprio nome dal tradizionale copricapo a piume, Sonia ha fatto sentire la voce dei popoli originari in uno dei periodi più bui per i nativi della foresta Amazzonica. Abbiamo intervistato Sonia a São Paulo, città dove è stata appena eletta deputata generale.
Che eredità lascia il governo Bolsonaro?
SG - Il governo Bolsonaro ha rappresentato una vera tragedia per il Brasile e per il mondo. Alle ultime elezioni è stato lo stesso sistema democratico a essere in pericolo. In questi quattro anni abbiamo affrontato la più grande deforestazione nell’Amazzonia brasiliana degli ultimi 15 anni. Gli incendi sono aumentati considerevolmente anche nel Pantanal e nel Cerrado. I diritti dei popoli indigeni sono stati calpestati ogni giorno. La politica indigena è stata smantellata. La Funai non è stata in grado di effettuare le ispezioni e il monitoraggio dei territori, permettendo che la violenza nei territori indigeni aumentasse molto. Solo nel 2021 in Brasile sono stati uccisi 170 indigeni. Bolsonaro ha promosso un discorso di odio: chi vuole praticare atti di violenza si è sentito autorizzato e legittimato, certi dell’impunità.
Di fronte a questa emergenza climatica, come possono i popoli indigeni e le donne contribuire a invertire un modello di sviluppo che ha portato a inquinamento e profonde disuguaglianze?
SG - Ci sono due modi. Il primo è garantire la demarcazione dei territori indigeni. Questa è una delle mie lotte principali. Solo la presenza indigena è garanzia di protezione della biodiversità: dei boschi, dell’acqua, del cibo. Il nostro modo di vivere è già protettivo, è già preservativo. L’altro obiettivo è bloccare il modello economico dell’agro-business, dell’estrattivismo e dell’industria della legna. Dobbiamo convincere le persone che è tempo di smetterla di spremere i territori per ottenere profitti, ma di occuparsi piuttosto di ridurre gli effetti del cambiamento climatico. Per farlo, però, serviva un cambiamento politico.
Ti saresti mai immaginata da bambina, che saresti stata candidata alla Camera dei Deputati o che si parlasse di te come ministro del Brasile?
SG - Non lo avrei mai immaginato. Da bambina non avevo la possibilità di studiare oltre il quarto grado. Per questo me ne sono andata molto presto per studiare, lavorando come domestica. La decisione di assumere un ruolo politico è stata molto più recente. Credo sia derivata dal mio continuo attivismo, dalle lotte che ho fatto per il mio territorio, che mi hanno fatto capire che la lotta è una sola: è la lotta di tutti i popoli indigeni in Brasile. Questa scelta politica è arrivata quando ho capito che se vogliamo essere rappresentati, dobbiamo lottare noi stessi in prima linea a livello nazionale e internazionale. Ci hanno tenuto in silenzio per molto tempo. Ora non c’è più tempo: è il momento di parlare e di cambiare.