Il fiume sacro profanato

Scritto per EAST

Una madre alla quale si è smesso di ubbidire. Una dea che si prega al mattino ma che si tradisce alla sera. E’ questo ciò che il fiume Gange rappresenta per l’India, che del paese è il suo simbolo, il suo spirito, la sua essenza. Nelle città sante accarezzate dal suo flusso vitale, i fedeli si alzano ritualmente all’alba per purificarsi con fauste abluzioni e per offrire incensi, fiori, lassi, candele, preghiere, canti devozionali che servono a scacciare i peccati e a guadagnare buon karma per le vite a venire. Al contempo, nelle chiassose città industriali costruite nel lungofiume, centinaia di imprese inghiottiscono avidamente le sue acque per utilizzarle a scopi produttivi e restituirle poi alla corrente contaminate e putride. Il Gange è ad oggi uno dei cinque corsi d’acqua più inquinati al mondo, ciononostante continua ad essere venerato come una dea, dal nome sanscrito di Ganga. Secondo la cosmologia vedica, il dio Vishnu perforò con l’alluce la volta superiore dell’uovo cosmico, facendo filtrare sull’Himalaia parte dell’oceano dell’universo e dando così vita al fiume, che serpeggiando sinuosamente ha poi raggiunto le pianure del subcontinente. Scorrendo per circa duemilacinquecento chilometri lungo la piana gangetica e fino al Golfo del Bengala, il suo flusso s’intreccia alle vite di quasi mezzo miliardo di anime che alle sue sponde pregano, si bagnano, lavano gli abiti e liberano senza i necessari trattamenti, ogni giorno, migliaia di litri di scarichi fognari.


Il Gange è oramai puro soltanto alla sua fonte, nelle pendici mistiche del Garhwal, dove spunta da una polla ai piedi del ghiacciaio di Gangotri: preziosa riserva d’acqua e di vita che il riscaldamento globale sta squagliando di giorno in giorno. Scendendo verso valle, il suo flusso erratico, alimentato dai ghiacci liquefatti, s’incaglia sulla diga di Tehri, mastodontico progetto idroelettrico che gli ecologisti considerano una minaccia per la fragile costituzione geologica della zona, ma che per il governo è una fonte di energia irrinunciabile per le ambizioni dell’India moderna. A sentir però il parere degli uomini di fede, spezzare con una diga il libero fluire di una corrente considerata di origine cosmica è un oltraggio irremissibile. Parte di quell’acqua accumulata nella diga abbandona il letto del corso d’acqua per essere trasferita insieme all’energia prodotta dalla centrale fino a Delhi e dissetare una capitale di 16 milioni di persone. Allo stato attuale, lungo le varie tappe del percorso del fiume, sembra essere in atto un estenuante braccio di ferro tra il sacro ed il profano, tra l’attaccamento alla tradizione e la corsa alla modernità. Ne è un esempio la stessa plaga himalaiana del Gharwal, dimora di templi e di luoghi sacri, stravolta recentemente da un aggressiva e maldestra speculazione edilizia. L‘insostenibile modello di sviluppo propagatosi nelle sue falde ha messo a nudo la propria scelleratezza alla metà di Giugno di quest’anno, quando un impetuoso nubifragio ha fatto del Gange una fiumana impazzita, che nella sua inesorabile foga ha travolto case, alberi, animali ed automobili, provocando imponenti devastazioni e causando la perdita di circa diecimila vite umane. 


Le distruzioni hanno sfiorato anche le città celesti di Rishikesh ed Haridwar, da sempre destinazioni di ascetici erranti e di viaggiatori affamati di misticismo, che con un bagno al giorno vagheggiano la via verso la purificazione. Da Haridwar, città definita “porta del cielo”, il fiume discende tortuoso lungo la piana gangetica, dove la densità abitativa supera i mille abitanti per chilometro quadrato e gli agglomerati urbani di oltre un milione di persone sono circa una cinquantina. Le città e le campagne della pianura si contendono la stessa acqua, divenuta una risorsa sempre più scarsa e sempre più necessaria a sostenere la vibrante crescita economica del paese. A Kanpur, metropoli che conta oltre tre milioni di cittadini, il Gange si ritrova a raccogliere gli scarichi delle industrie conciarie e cartiere, che fanno gorgogliare nelle sue acque agenti chimici, sostanze tossiche e metalli pesanti, senza farli passare per sistemi di trattamento adeguati. Ad Allahabad, il fiume Yamuna arriva a portare soccorso al Gange alla confluenza di Prayad, dove ogni dodici anni (l’ultima volta la scorsa primavera) ha luogo l’incredibile festival religioso del Kumbh Mela, che riunisce sul letto del fiume, in uno spettacolo straordinario, gli uomini santi dell’India e milioni di devoti. A Varanasi, dove la vita e la morte s’intersecano in una danza macabra atemporale, le ceneri dei cadaveri che vengono cremati pubblicamente nel lungofiume, finiscono per fluttuare insieme ai resti della legna usata per le cremazioni e agli scarichi fognari espulsi in maniera consistente senza trattamenti. Il corso d’acqua entra nello stato del Bihar spogliato oramai di ogni sacralità, come un flusso velenoso carico di virus e di colibatteri che minacciano le vite di pesci ed anfibi e pregiudicano la salute di una popolazione sempre più afflitta da malattie gastrointestinali, epatiti e parassitosi. La superficie tra Patna e Delhi ha la concentrazione di tumori più alta al mondo. Proprio a Patna, la lenta agonia del Gange viene alleviata dal confluire di alcuni suoi tributari che gli iniettano l’acqua fresca necessaria a spingerlo verso il delta che sgorga nell’oceano indiano, attraverso la regione indiana del Bengala Occidentale e lo stato mussulmano del Bangladesh.


Non tutta l’India è disposta a vedere il suo fiume soccombere all’inquinamento ed allo sfruttamento perpetuato dalle dighe, dalle industrie e dalle megalopoli situate sulle sue rive. Ambientalisti, scienziati e leader spirituali hanno cercato con mezzi diversi di indirizzare l’interesse pubblico sulla condizione del fiume più rappresentativo del paese, da molti considerato la “madre” dell’India stessa. Negli anni Ottanta, il governo dell’allora primo ministro Rajiv Gandhi cercò di risanare lo stato del Gange con il Ganga Action Plan (GAP), un progetto ambizioso che in pochi anni si è arenato nella profonda corruzione del paese(1), fallendo nell’intento di risolvere la drammaticità della situazione. I report pubblicati negli anni successivi dall’organizzazione mondiale della sanità (WHO) hanno esposto che le malattie causate dall’acqua contaminata, anziché diminuire, hanno continuato ad aumentare anche dopo l’inizio del GAP. Per ovviare ad una situazione sempre più catastrofica, nel 2009 il governo ha istituito una authority: la National Ganga River Basin Authority (NGRBA), con l’obiettivo di combattere una volta per tutte l’inquinamento del fiume sacro. Le difficoltà affinché il progetto possa avere successo sono enormi e possono essere superate soltanto con piani lungimiranti, precisi ed efficaci. Servono infrastrutture in grado di trattare gli scarichi fognari ed industriali a basso costo energetico, considerando la scarsità di disponibilità energetiche del paese e l’enorme impatto ambientale delle centrali a carbone. Serve inoltre una nuova coscienza della popolazione stessa, nel rapportarsi al fiume che considera sacro. In India si crede da sempre che le acque del Gange abbiano il potere di purificare gli animi degli uomini, oltre ad avere la capacità di auto-purificarsi. Devono essere gli stessi cittadini indiani a questo punto, ad impegnarsi concretamente, per purificare quel fiume nelle cui acque, da secoli, cercano la salvezza.

Using Format