Il boom della canapa legale

Scritto per Il Reportage - Gennaio 2021 



Sulla sommità di un pendio tra i paesaggi spettacolari della val Trompia, in provincia di Brescia, sono finalmente arrivati i giorni del raccolto. É un momento di svago per i ragazzi che collaborano con la società agricola “Le Rie”, fondata da un gruppo di soci che hanno avviato una coltivazione di canapa industriale, investendo su un territorio sempre più abbandonato dalle nuove generazioni costrette a cercare lavoro altrove. Mentre spunta i fiori del raccolto di canapa appena effettuato, Pierluca Arabi, 49 anni vicentino, mi spiega di esser stato alla ricerca per anni dell’occasione giusta per lavorare a contatto con la terra. E come in una fiaba a lieto fine, l’occasione è arrivata con la legge n. 242 del 2016, che ha disciplinato la produzione agricola della cannabis con un contenuto tra lo 0,2% e lo 0,6% di THC, il delta-9-tetraidrocannabinolo, che è responsabile degli effetti psicotropi della cannabis. In Italia il THC è tuttora considerato una droga ed è utilizzabile soltanto a livello terapeutico, mentre la cannabis con quantità variabili della molecola è stata recentemente legalizzata in Messico, in Canada, in Uruguay e in alcuni stati degli USA. Anche le Nazioni Unite con una decisione storica hanno declassificato la cannabis dalla tabella degli stupefacenti che comprende anche cocaina e eroina, riconoscendone il valore terapeutico. “La canapa è una pianta eccezionale” mi racconta Pierluca, mentre mi accompagna alla camera di essiccazione. “Coltivarla in questo luogo meraviglioso è un sogno che si porta in dote la consapevolezza di dover tutelare queste zone montuose dal grande valore ambientale.” Pierluca è anche il vice-presidente di Canapa Sativa Italia (CSI), un’associazione di esperti del settore impegnata a trovare una regolamentazione seria e appropriata per questo settore in crescita, anche attraverso la partecipazione al tavolo tecnico di filiera del Mipaaf. Secondo l’attuale legislazione, la coltivazione di canapa certificata è consentita anche senza autorizzazione, seppur la denuncia di semina delle piantagioni al comando locale dei Carabinieri sia diventata prassi per non indurre il sospetto che si tratti di coltivazioni illegali. “Tutti sanno in valle che produciamo canapa industriale. Anche le forze dell’ordine” mi racconta sorridendo Pierluca. “Quando sono arrivato con barba e capelli lunghi, qualcuno deve aver pensato che fossi uno scappato di casa” continua scherzosamente. “É bastata un pò di sana comunicazione per instaurare relazioni collaborative e di mutuo rispetto. Credo sia importante sdoganare i pregiudizi e gli stereotipi verso la cannabis e farne capire il suo incompreso valore”. Allo stato naturale, le piante di cannabis contengono tra il 4% e il 10% di THC (raggiungono anche il 25% di THC negli incroci sviluppati successivamente a scopo ricreativo) e quantità inferiori di cannabidiolo (CBD), che in alcune varietà sviluppate a livello industriale è il cannibinoide dominante: sono proprio queste ultime a poter essere coltivate, secondo la legge 242 del 2016. Il CBD è una delle principali molecole della cannabis che offre potenti benefici terapeutici per patologie quali l’epilessia, l’insonnia, l’ansia, la sclerosi multipla, le malattie della pelle. Dalla sua coltivazione possono oggi essere prodotti alimenti e cosmetici, semilavorati come fibra, canapuli, polveri, oli o carburanti, materiale organico per la bioingegneria e la bioedilizia, materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati e fiori destinati al florovivaismo. Questo settore in crescita ha dato lavoro in pochi anni a oltre 15 mila persone, l’80% delle quali ha meno di 30 anni, generando un giro d’affari che intorno ai 150 milioni di euro. Molte aziende sono partite dall’iniziativa di ragazzi, come quella di “Just Feel Better” (JFB), una piccola realtà nata in provincia di Treviso dall’idea di Edoardo Marcon, che dopo 8 anni e una laurea in Psicologia in California, ha deciso di tornare a casa e mettersi al lavoro. “L’esperienza in California mi ha fatto comprendere le potenzialità incredibili della cannabis, sia per le entrate economiche a favore dello Stato, sia per gli effetti positivi sulla salute delle persone.” E così in un vecchio magazzino circondato da terreni é cominciata l’avventura di JFB, un’azienda creata insieme agli amici di sempre, che si occupa  di tutto il processo produttivo, dal seme alla vendita diretta. “Quando il prodotto è maturo lo inviamo a un laboratorio forense di Torino che calcola precisamente la percentuale di CBD e THC” mi spiega Laura Dalla Porta, una delle giovani impiegate dell’azienda, mentre lavora alla confezione del prodotto su vasetti di vetro. “Se dalle analisi risulta che il THC è inferiore a 0,5, allora il prodotto è commerciabile” mi racconta. “Il prodotto è fortemente migliorato negli ultimi anni” aggiunge Edoardo, “sulla spinta di un grande interesse commerciale di livello internazionale. Prima della diffusione del coronavirus” continua Edoardo, “sono stato contattato dal ministero dell’Agricoltura cinese, che mi offriva 300€ all’ora per portare know how in un enorme laboratorio appena costruito in Cina. Mi hanno dato l’impressione di aver risorse infinite da investire in questo mercato”. Un mercato che in Italia è davvero esploso negli ultimi anni. Secondo le stime di Coldiretti, solo tra il 2013 e il 2018 la superficie coltivata è aumentata di dieci volte, passando dai 400 ai 4000 ettari di terreno. Per il nostro paese si tratta di un vero e proprio ritorno alla canapa: nel Dopoguerra gli ettari coltivati erano oltre novanta mila, di una qualità ottima per la produzione di fibre tessili che venivano esportate in molte zone del mondo, rendendo il Bel paese il secondo maggior produttore di canapa al mondo. Poi sono arrivati gli anni del proibizionismo statunitense e anche in Italia, negli anni Sessanta, la cannabis è stata messa al bando, rinunciando al suo ricco mercato potenziale. É così che in campo tessile la canapa è stata sostituita da cotone e dalle fibre sintetiche e in campo medico dai farmaci sintetici prodotti dalle multinazionali farmaceutiche. Gli ultimi ettari di canapa in Italia sparirono con la “legge Cossiga” del 1975. Oggi invece sono nuovamente in crescita costante. I consumi di prodotti derivati sono aumentati vertiginosamente durante il periodo del lockdown primaverile e di conseguenza anche la quantità prodotta. “Molte aziende si sono trovate con i magazzini vuoti, perché non si trovava più prodotto” mi racconta ancora Pierluca. “Le vendite via e-commerce sono aumentate tra il 300% e il 500% a seconda delle aziende”. Nelle grandi città si sono rafforzati i servizi di consegna a domicilio, per rispondere alla crescente domanda, con alcuni e-commerce che promettono consegne rapidissime (é il caso dell’azienda “Legal Delivery” di Milano che nel suo sito promette un tempo medio di consegna di 29 minuti).  “Più che vendere canapa, durante il lockdown mi sembrava di fare un favore alla gente, di alleviare il loro stress e la loro frustrazione dovuta alla quarantena” mi spiega ancora Edoardo di JFB, seduto nel suo ufficio. “Alcuni clienti mi chiamavano e mi ringraziavano. Abbiamo spedito oli e infiorescenze in tutta Italia”. Al negozio “Erba di Roma” in corso Vittorio Emanuele II, Francesca mi racconta di aver aggiornato le grammatura di infiorescenze in vendita a 10 grammi. “É un momento positivo per il nostro settore, seppur la legislazione rimane ancora incerta” afferma. “Fortunatamente il ministro Speranza ha sospeso il decreto di Ottobre che inseriva il CBD tra le sostanze stupefacenti, che sarebbe stato rovinoso per il nostro settore”. Secondo Francesca, negozi come il suo non dovrebbero soltanto vendere prodotti derivati, ma anche fare cultura e informazione sulla cannabis, essendo tutt’altro che “un incentivo allo spaccio” come dichiarato più volte dall’ex ministro dell’interno Salvini. Al contrario, come dimostrato da uno studio condotto da Francesco Principe, Leonardo Madio e Vincenzo Carrieri, il numero di piante di cannabis prodotte in clandestinità è diminuito di un terzo nel periodo osservato tra Maggio 2017 e Febbraio 2018, proprio a causa della presenza della cannabis legale certificata. “I nostri clienti apprezzano enormemente questi prodotti” mi racconta ancora Francesca, “Vendiamo molti oli e infiorescenze, ma anche tea e biscotti, soprattutto a persone sopra i 35 anni alla prese con ansie e stress. Tutto l’indotto della cannabis ha giovato di questo periodo di grandi vendite” aggiunge, mentre prepara un amaro di canapa dal colore verdissimo a un cliente di passaggio. Una crescita che non è passata inosservata ai più grandi imprenditori della canapa, che quest’anno hanno investito sempre più risorse, per rendere ancor più efficienti i loro sistemi produttivi. Tra questi, i canadesi di “Canapar” (succursale italiana di Canopy Growth Corp, azienda con una capitalizzazione di mercato pari a 12,4 miliardi di dollari) che come mission ha quella di “dominare il business mondiale del cannabidiolo”. Canapar ha investito ben 17 milioni di euro in Italia per realizzare un impianto a Ragusa che potrebbe fruttare 90 milioni di euro, secondo le stime del loro Ceo Sergio Martines. Sono numeri questi che fanno impallidire i piccoli produttori, che temono di essere tagliati fuori dalla loro fetta di mercato. “Servono normative solide per proteggerci e per dare speranza alla nostra economia” mi spiega Mattia Cusani, giovane amministratore dell’azienda JURE s.r.l. e membro del consiglio direttivo di Canapa Sativa Italia (CSI). “Le grandi multinazionali praticano uno sfruttamento intensivo delle risorse e delle persone, lasciando le briciole dei propri ricavi alle aziende con le quali collaborano” continua Mattia. “Noi non vogliamo giocare secondo queste regole, ma coltivare il nostro prodotto secondo i principi dell’economia circolare. In linea con questi valori, Mattia ha dato vita all’azienda JURE s.r.l. nell’altopiano della Sila, in provincia di Cosenza, insieme a un gruppo di altre nove persone che hanno messo sul tavolo 1000 euro a testa per cominciare. Mattia crede fortemente che la produzione di cannabis possa essere una soluzione importante per invertire il processo di abbandono di molte terre in Calabria, dove oltre 200.000 ettari sono stati convertiti ad altro utilizzo e il numero di aziende si è dimezzato, dagli anni Novanta a oggi. “Se il cannabidiolo finisse sotto il monopolio di stato, sarebbe una rovina per tutti noi che abbiamo fortemente puntato su questa pianta” continua Mattia. “La minaccia è concreta. Philip Morris ha già presentato una proposta al governo di normare i fiori come prodotto da fumo, mettendo tutto sotto monopolio di stato, stimando di portare oltre 3,5 miliardi all’anno nelle casse dello Stato tramite un accisa al 70%” mi spiega Mattia. “Un’altra proposta sul tavolo del governo è quella della Federazione Italiana Tabaccai (FIT), che ha proposto un disegno con tassazione al 40% per il cannabidiolo come prodotto di inalazione, che può portare al governo ricavi per 1.8 miliardi all’anno” continua. Per i piccoli e medi produttori di cannabis legale non resta ora che aspettare la firma della ministra dell’Agricoltura Bellanova per l’istituzione del tavolo di filiera, al quale parteciperanno le associazioni di categoria e i portatori d’interesse. É qui che si deciderà il futuro della cannabis in Italia. “Per noi è importante che il cannabidiolo continui a essere considerato un prodotto agricolo” mi spiega ancora Mattia di CSI. “Se la proposta di Philip Morris venisse accettata, le multinazionali del tabacco potrebbero fare in Italia ciò che a noi non sarà più concesso di fare. A pagarne saranno tutti quei piccoli agricoltori che in questa coltura in questi anni hanno trovato speranza, costruendo un equilibrio tra produzione e rispetto dell’ambiente che difficilmente le multinazionali avranno interesse a mantenere”.

Using Format