Gli ultimi Maya in difesa dei territori
December 21, 2023Scritto per Terra Nuova
In America Latina, la difesa delle risorse naturali come l’acqua può costare la vita. In Guatemala, una comunità indigena lotta da dieci anni per espellere un’impresa idroelettrica dal proprio territorio.
Ogni mattina il rituale si ripete: Juan Alonzo, un contadino indigeno di 33 anni, parte di buonora con il figlio maggiore verso i campi di cardamomo e mais che si estendono lungo il fiume Pojom. Di tanto in tanto, nel loro cammino, fanno sosta al cimitero che sovrasta la collina di Yulchen Frontera, il loro paese natale. Lì è sepolto il padre di Juan, Sebastián Alonzo, assassinato cinque anni fa nel corso di una protesta contro l’impresa idroelettrica, che da un decennio si è insediata nel territorio. “Mio padre è morto per difendere i nostri diritti, che l’impresa continua a calpestare” racconta tuttora straziato Juan Alonzo.
Nella valle di Ixquisis, a pochi chilometri dal confine messicano, i contadini di sussistenza come Juan vivono in una condizione di povertà estrema, sprovvisti di elettricità e di altri servizi essenziali. L’area può essere raggiunta soltanto con dei fuoristrada in grado di percorrere i tortuosi e pericolosi percorsi di montagna, che connettono la valle con il resto del paese. La maggior parte dei ragazzi, raggiunta la maggiore età, si rassegna a emigrare in massa, almeno per qualche anno, negli Stati Uniti. Molti di loro lasciano le loro giovani mogli e i loro figli a casa.
Eppure questa regione è davvero ricca di una risorsa fondamentale: l’acqua. I tre fiumi principali che attraversano queste valli - il Río Pojom, il Río Negro e il Río Yalowitz - sono la linfa vitale per le comunità indigene maya che da sempre abitano queste zone. Quando l’impresa Promoción de Desarrollo Hídrico (PDH, ora Energía y Renovación) ha cominciato la costruzione di due centrali idroelettriche sul territorio, con la promessa di portare progresso e prosperità a tutta la regione, Juan Alonzo e molti altri compaesani hanno pensato che il progetto fosse un raggio di speranza per queste terre remote e dimenticate.
Nulla di più illusorio, in particolare per Juan, che oggi considera un incubo l’arrivo dell’impresa. Egli ha preso parte ai primi incontri promossi da PDH insieme alla sua comunità. In uno di questi, Maria Bautista, una delle poche donne istruite e alfabetizzate del paesino, ha cominciato a manifestare sospetti riguardo all’onestà del progetto dell’impresa. “Ho parlato alla comunità in lingua indigena per spiegar loro che ci stavano ingannando” ci racconta Maria. Secondo la legge guatemalteca infatti, la produzione e la distribuzione di elettricità sono due attività separate: l’energia prodotta in un luogo deve essere prima convogliata all’Istituto Nazionale di Elettrificazione (INDE) e non può essere direttamente distribuita alla popolazione locale. “La nostra comunità ha deciso così di non firmare l’accordo che PDH ci ha presentato” aggiunge Maria.
Quel giorno, tutto è cambiato nella valle di Ixquisis. La popolazione è rimasta sconcertata: seppur una parte della comunità stenta tuttora a credere che l’impresa abbia mentito, una maggioranza si è presto convinta dell’inganno subìto. Con l’inizio dei lavori di costruzione, nel 2013, le divisioni tra la gente non hanno fatto che aumentare. Lucas Jorge García, presidente regionale di Ixquisis, ha esortato i residenti a resistere ai piani dell’impresa. “Hanno cercato di corrompere le persone più influenti e i leader locali delle nostre comunità, per portarli dalla loro parte e diffondere disinformazione”, racconta Lucas. “Anche se continuavano a offrire denaro, non mi sono mai venduto. Vogliamo che gli invasori se ne vadano una volta per tutte”.
Un pezzo di una montagna considerata sacra dalla popolazione è stata dinamitata e un tratto del fiume Pojom è stato deviato. Nel 2017, il 30% del progetto era già stato completato. Per settimane, le comunità indigene di Ixquisis hanno deciso di protestare contro l’impresa che, nel frattempo, ha cambiato nome da PDH a Energía y Renovación, per far fronte a una reputazione già compromessa. Il 17 gennaio 2017, tra le 600 e le 1.000 persone provenienti da diverse comunità della municipalità di San Mateo Ixtatán si sono riunite a Ixquisis per protestare contro Energía y Renovación.
“Ad un tratto hanno sparato lacrimogeni verso la folla” racconta Juan Alonzo. “Siamo dovuti scappare e ho perso di vista mio padre. Quando siamo tornati qualche ora dopo, giaceva a terra immobile, con la camicia sporca di sangue e due ferite di proiettile: una alla nuca e l’altra allo stomaco”. Sebastián Alonzo, che quel giorno aveva sessantotto anni, è morto nel tragitto verso l’ospedale di Santa Cruz Barilla, situato a più di tre ore di distanza. Il suo nome figura nella lista compilata dall’ONG Global Witness di 1733 ambientalisti uccisi negli ultimi dieci anni. La maggior parte di questi assassini ha avuto luogo in America Latina. I popoli indigeni sono vittime del 39% dei decessi, pur rappresentando solo il 5% della popolazione mondiale.
Sebastián protestava contro l’impresa che minacciava di deviare il fiume Pojom attraverso una conduttura sotterranea, compromettendo così le sue coltivazioni di fagioli, mais, grano, caffè e cardamomo. Cinque anni dopo la sua morte, l’unica informazione contenuta nel fascicolo della polizia è “causa di morte: ancora da stabilire”. Cristian Otzin, avvocato specializzato nella difesa dei diritti degli indigeni, ritiene che Sebastián Alonzo sia stato ucciso dalle guardie di sicurezza private di Energía y Renovación. “È l’ipotesi più probabile” racconta.
All’epoca, Energía y Renovación disponeva di dodici guardie della società di sicurezza Asteriscos Inversiones e otto della G4s Secure Solutions: tutte avevano il permesso di essere armate. Entrambe le agenzie sostengono che nessuno dei loro agenti fosse presente al momento dei colpi. Juan Alfonso de Léon, direttore di Energía y Renovación sul territorio, racconta una versione diversa degli eventi. Secondo Juan, il giorno della morte di Sebastián Alonzo, “un gruppo di opposizione, appoggiato da persone esterne alla comunità, ha compiuto un’azione tutt’altro che pacifica. Tali persone hanno attaccato la polizia e bruciato i nostri macchinari. Volevano cacciarci da Ixquisis”. Il direttore, seduto nel proprio ufficio a Città de Guatemala, nega che le guardie di sicurezza di Energía y Renovación siano responsabili per l’omicidio di Sebastián Alonzo. “Credono che l’impresa sia responsabile di tutto!” continua. “Se piove, è colpa nostra. Se non piove, è colpa nostra! Lasciamo che siano le autorità a stabilire cosa è successo quel giorno”. Le autorità, ad ogni modo, non sembrano particolarmente intenzionate a portare avanti il caso.
Alla stazione di polizia di Ixquisis, aperta soltanto un anno dopo l’arrivo della PDH, i due poliziotti presenti si rifiutano di parlare del progetto idroelettrico. “Non sapevo che qualcuno fosse morto qui, non conosco Sebastián Alonzo”, hanno risposto alle nostre domande sull’omicidio. Francisco Simón, un giornalista locale di Prensa Comunitaria che ha seguito le manifestazioni, sostiene che “le auto della polizia si trovavano a circa 200 metri di distanza dalla scena. Sembra che i colpi siano stati sparati con la complicità della polizia”. Accanto alla stazione di polizia, su un muro sono stati tracciati dei graffiti che recitano: “La PNC (Polizia Civile Nazionale) dovrebbe andarsene!” e “La lotta continua”.
Edgar Month, cittadino non indigeno di Ixquisis che dal 2013 è stato assunto come agente di sicurezza dall’azienda idroelettrica, ha iniziato a sentirsi sempre più a disagio quando le tensioni tra la comunità locale e l’impresa hanno raggiunto l’apice. “Pensavo di avere un lavoro importante”, ha detto. “Quando mia moglie ha contratto un cancro, quei soldi mi hanno aiutato a pagare le spese dell’ospedale. Non ce l’avremmo mai fatta senza il suo lavoro”. Sua moglie Berta gestisce un piccolo ristorante a conduzione familiare a Ixquisis, che serve anche i lavoratori della vicina impresa. Per Edgar e Berta, Energía y Renovación portava solo benefici. “A un certo punto è stato impossibile ignorare le inquietudini delle persone che ci vivevano intorno”, ha confessato Edgar. Di fatto è stato uno dei loro figli, di ritorno dagli Stati Uniti, a convincere Edgar e Berta che i manifestanti fossero dalla parte giusta. Da allora i suoi genitori hanno aperto un piccolo negozio accanto al ristorante e hanno deciso di concentrarsi solo sulle loro attività.
Dopo la morte di Sebastián Alonzo, le comunità che si oppongono al progetto, sostenute dalla ONG AIDA (Associazione Interamericana per la Difesa dell’Ambiente) hanno continuato la lotta per vie legali. AIDA ha documentato oltre un centinaio di attacchi contro diversi oppositori del progetto da quando l’impresa è arrivata sul territorio: minacce, pestaggi e avvelenamenti sospetti ad animali domestici. Nel 2018 l’organizzazione ha presentato una denuncia al MICI, il meccanismo di monitoraggio della filiale privata della Banca interamericana di sviluppo (BID), che ha versato 13 milioni di euro nei progetti idroelettrici. Nella richiesta di finanziamento, l’azienda ha affermato che la maggior parte degli abitanti della zona non erano indigeni. “Mentire ha permesso loro di abbassare gli standard richiesti dalla banca per finanziare il progetto. In tal modo, non hanno dovuto fare una consultazione ufficiale con la popolazione”, chiarisce Rosa Peña, avvocato dell’AIDA. “In realtà, l’86% della popolazione di Ixquisis è indigena”. Tre anni dopo, per la prima volta nella storia dell’organismo, il MICI si è pronunciato a favore delle comunità e ha raccomandato al BID di ritirare il proprio sostegno al progetto perché violava le normative interne. Nel marzo 2022, IBID Invest si è adeguata. Energía y Renovación ha presentato una denuncia contro lo Stato guatemalteco, accusandolo di non aver portato a termine il progetto, nonostante avesse ottenuto tutte le approvazioni richieste.
Juan Alfonso de León, direttore sul campo dell’impresa negli ultimi sei anni, oggi ammette che Energía y Renovación è “pienamente consapevole del fatto che la zona sia popolata principalmente da comunità indigene”. È ancora fiducioso sul futuro dell’impresa e ritiene che “il progetto sia tecnicamente e socialmente valido e debba perciò continuare”. Sei mesi dopo, la popolazione rimane diffidente. “La nostra gente ha sofferto troppo in questi anni. È difficile credere che la lotta sia finita”, afferma Lucas Jorge mentre disegna una croce con cera e legno sul terreno, durante una cerimonia tradizionale maya, eseguita su una delle montagne che gli indigeni Chuj’ e Kanjobal considerano sacre. In stato di trascendenza, con una chiara luce solare che filtra attraverso le foglie degli alberi, Lucas e un gruppo di anziani pregano per i loro fiumi e le loro montagne, nonché per tutte le persone che in questi anni sono state minacciate, picchiate, arrestate e uccise. Gente come Sebastián Alonzo. “Vinceremo questa lotta solo se lasceremo che la fede prevalga sulla paura”, racconta Lucas, rinvigorito, alla fine del rituale.
Contattato, il dipartimento di comunicazione di Energía y Renovación non ha voluto commentare il futuro dell’azienda, né le denunce in corso, affermando che “è una questione in corso”.
Questo reportage, sostenuto dal journalismfund.eu, è stato realizzato nell’ambito di una serie di tre indagini su tre difensori dell’acqua assassinati in America Latina.