Di studiare, protestare e non essere maltrattate

Scritto per ELLE Italia - 5 Aprile 2021 

Non da segni di resa la protesta in corso all’Università del Bosforo (Boğaziçi) di Istanbul. Tutto è cominciato il 4 Gennaio scorso, con la nomina dall’alto del nuovo rettore, Melih Bulu, un esponente del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) guidato dal presidente Erdoğan. Da allora sono iniziate le proteste studentesche e di alcuni accademici che quotidianamente, indossano la toga e si radunano, dando le spalle al piazzale del rettorato, in segno di protesta. Il campus dell’università è stato militarizzato: agenti di polizia stazionano all’uscita della metro e tutto intorno al perimetro dell’università, transennato per controllare gli ingressi e le uscite e impedire i cortei. Durante le azioni di protesta, in alcune occasioni, la polizia ha usato gas e proiettili di plastica. “Vogliamo un sistema di nomina democratico” mi racconta Esra, studentessa di 24 anni in ingegneria chimica. “Bulu non è stato eletto, ma nominato. Ha plagiato la sua tesi di dottorato e non ha un curriculum accademico adatto a fare il rettore. Per noi la sua nomina è inaccettabile” continua interdetta la ragazza. Fino al 2016 nell’ateneo di Boğaziçi i rettori venivano nominati tramite elezione interna, ma in seguito al colpo di stato del 15 luglio di quell’anno, l’autorità è stata trasferita con un decreto di emergenza al presidente turco. “Le nostre richieste sono semplici: Bulu deve dimettersi insieme al consiglio di amministrazione” incalza Güneş, 23 anni, studentessa in  sociologia. “Vogliamo democrazia e diritti umani. Il punto di questa protesta non è la critica del governo, ma la resistenza a quella che percepiamo come una violazione” continua. Alle proteste degli studenti sono seguiti centinaia di arresti, con incursioni della polizia nelle case private degli alunni. L’accanimento poliziesco si è concentrato sugli attivisti LGBTI, accusati dal governo di aver orchestrato la protesta, mettendo benzina sul fuoco in quella che in Turchia è una vera e propria guerra culturale. “Stiamo assistendo a una repressione molto grave contro un movimento studentesco che esprime le sue richieste in modo calmo e pacifico e che sta vivendo la violenza della polizia e l’arresto e che in futuro affronterà azioni penali” ha affermato Buyum di Amnesty International. L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha condannato le prese di posizione dei funzionari turchi e ha chiesto il rapido rilascio degli studenti e dei manifestanti arrestati. Secondo molti osservatori, la nomina di Bulu non è che l’ennesimo tentativo del governo di forgiare un’ottica islamica e nazionalista alle istituzioni del paese, come già successo in seguito al colpo di stato e al “manifesto per la pace in Kurdistan”, firmato da molti accademici nel 2016, la maggior parte dei quali ha perso la cattedra in seguito all’iniziativa. L’ateneo di Boğaziçi, per la sua vocazione internazionale, all’epoca aveva resistito. Oggi è diventato il centro della protesta, attirando la solidarietà di molti altri atenei. I media turchi hanno enfatizzato le similitudini con le proteste del parco di Gezi nel 2013, uno degli eventi più drammatici della storia moderna del paese, quando furono ferite migliaia di persone e in undici persero la vita per protestare in maniera pacifica contro la distruzione del parco in piazza Taksim. “La TV non ha interesse a raccontare le nostre storie, se non in maniera stereotipata” mi racconta ancora Esra, che nel 2013 ha partecipato ai movimenti studenteschi di solidarietà alle proteste di Gezi quando frequentava le superiori a Denizli. Quell’evento scosse un paese molto più in salute rispetto a oggi. Da allora molti intellettuali non allineati al potere hanno dovuto lasciare il paese o sono stati arrestati, tra loro giornalisti, accademici, personalità istituzionali. Secondo Esra, il paragone con Gezi, non è altro che una facile catalogazione. “Dicono che vogliamo far cadere il governo ma sanno bene che questa non è la ragione della nostra protesta” mi racconta. “Dicono anche che siamo terroristi. Chiunque difende le proprie idee in questo paese viene chiamato così. Noi vogliamo poter eleggere il nostro rettore e fino ad allora, non smetteremo di protestare”. Nel frattempo la situazione dei diritti umani nel paese sta progressivamente degenerando, con l’arresto di Öztürk Türkdoğan, presidente dell’Associazione per i diritti umani (Ihd), la più nota organizzazione non governativa della Turchia, il ritiro ufficiale del paese dalla convenzione di Istanbul contro le violenze sulle donne e con la crescente repressione nei confronti del partito filo-curdo HDP.  

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