Andate e Ritorni - Romanzo del movimento

Appunti ritrovati del Gennaio 2015. 
Andata e ritorno. Il percorso continuo. Partire, perdersi, cambiare prospettive, crescere, spalancare il cuore, illuminarsi, incazzarsi. Andare, tornare e poi andare ancora, poiché non v’è epilogo al romanzo del movimento. Non v’è pace nella staticità. La vita come un flusso costante di scoperte. La realtà come un sogno, poiché non v’è comunque modo d’intenderla. La verità come destinazione, come unico senso possibile dell’andare. Questi anni della mia vita non sono stati altro che questo. Un continuo susseguirsi di andate e di ritorni. Come una serie infinita di nascite e rinascite. Non saprei rintracciar l’inizio di questo ciclo nella memoria. Ho forse vissuto migliaia di anni in questo modo, forse in altre forme, in altri posti, in altri tempi. Come non rimembro il 99% delle cose vissute da incosciente infante, non rimembro oggi ciò che è stato quando stavo altrove, oltre questa vita che ci pare essere l’unica dimensione con la quale confrontrarsi. Andate e ritorni per abbandonare ogni concetto di dimensione, per aprire la porta del magico e abbandonarci alla fantastica naturalezza dell’incredibile. Andare per restituire verità a sé stessi, per distruggere la generale idea di reale, che altro non è che una sbornia collettiva, che limita il nostro intuito e la nostra immaginazione. Andare per annientare ogni immagine falsata del mondo, per costruire un mosaico dell’umanità basato sulla nostra esperienza. Rischiare tutto per riuscirci. Imbarcarsi nell’oceano e attraversare l’Atlantico in barca a vela, senza saper nuotare. Dormire in una tenda di nomadi tibetani a 4000 metri d’altitudine, nel gelo di Dicembre. Fare autostop per le strade cocenti del Sahara, sotto il sole di mezzogiorno. Rincorrere un pallone nei viottoli angusti di un campo profughi palestinese. Sfidare a scacchi individui dagli occhi penetranti alla stazione degli autobus di Belgrado. Mescolarsi a trenta milioni di devoti indiani nella processione più pazzesca della storia, sul letto del fiume Gange. Partire in autostop dall’Olanda e ritrovarsi due mesi dopo al confine con la Mauritania. Diventare una cosa sola con il tutto, lasciando andare il capo in una danza mistica con i dervisci del Kurdistan iraniano. Svegliarsi alle quattro del mattino in un tempio Hare Krishna e inchinarsi ad una piantina di basilico santo. Sedersi di fianco un ceco ed inebriarsi del profumo dell’aria. Distinguere ogni singolo suono tra i tanti. Sentire il calore delle persone nel loro avvicinarsi. Vestirsi da donna, mangiare con le mani, scaldarsi le dita gelate bruciando cacca secca di yak. Spostare piccoli oggetti con la forza del pensiero. Camminare scalzi sotto la pioggia, patire la fame, usare i calzini come guanti. Andare, muoversi, specchiarsi con la propria immagine, riconoscere i propri egoismi, i difetti, gli errori. Allontanarsi da se stessi per tornare ancor più vivi e ancor più veri. Poiché è l’ambiente in cui viviamo ad inquinarci, sono le etichette che ci hanno appiccicato addosso a corromperci, sono le credenze comuni a limitare il nostro intelletto. Siamo esseri puri all’origine. Andare, quindi, per ricercare l’origine. Andare per amalgamarsi all’infinito e all’infinito soltanto, poiché non v’è nessun altra identificazione sensata. Andare e portarsi con sé il nulla, non un amico, non un ricordo, non un biglietto di ritorno. Spingersi fino al confine del possibile, raggiungere la frontiera con l’estasi e poi sedersi, respirare, guardarsi attorno, addormentarsi. Risvegliarsi e rimettersi sulla via del ritorno, poiché non ci potrà mai essere una completa soddisfazione nel perpetuo vagare. Perché per ogni viaggio scegliamo noi la fine: talvolta a rappresentarla è un incontro, un evento, un motivo, metafora di un sentimento, che già da tempo sta covando dentro di noi. Talvolta l’unica destinazione che desideriamo è quella di casa. Ritornare, quando nulla è uguale a prima. Non lo è per noi, non lo è per gli altri. Guardare ad un’immagine di realtà conosciuta con occhi diversi. Essere estranei a casa propria e quindi finalmente sentirsi presenti. Comprendere la natura dei legami che ci legano alle persone. Riconoscere l’amore di chi ci sta accanto. Quell’amore che abbiamo sempre dato per scontato, che a guardarlo bene a volte è talmente grande d’apparirci immenso. Andata e ritorno. Il percorso continuo. Riconoscere comportamenti e modi di fare che abbiamo da sempre attuato e che d’un tratto, non possiamo più accettare. Rimboccarsi le maniche. Lavorare per sfidare l’ignavia di una società che si nutre di sogni di plastica. Costretta a barattare i propri valori per sopravvivere, per difendere i propri interessi. Ritornare per responsabilità, poiché ogni viaggiatore è un messaggero, e il suo lavoro è quello di raccontare il mondo e di allargare quello di chi lo ascolta. Ritornare per poter brillare di una luce ispiratrice. Per svuotarsi le tasche di conoscenze. Per regalarle a chiunque ne abbia fame, a chiunque ne sia curioso, a chiunque sia alla ricerca. Andare e tornare perché questo è il ciclo naturale della vita. Un ciclo senza fine, che è di certo impossibile da comprendere. E se c’è forse un solo un modo al mondo di riuscire ad intuirlo è quello di andare. Di spogliarsi del tutto del proprio modo di pensare. Di mettere in gioco totalmente il nostro bagaglio culturale. Partire, perdersi, cambiare prospettive, crescere, spalancare il cuore, illuminarsi, incazzarsi. Andare, tornare e poi andare ancora, poiché di certo non v’è epilogo al romanzo del movimento. Perché un viaggio deve terminare per far si che un altro abbia inizio. Poiché nel camminare con il mondo nel cuore, v’è un momento in cui l’unica strada desiderata è quella verso casa. Andata e ritorno. Il percorso continuo. Ritornare per rendersi conto del cammino percorso. Specchiarsi con il proprio io del passato. Essere presenti per che ci ama. Rimboccarsi le maniche. Lavorare per sfidare l’ignavia di una società senza direzione che si nutre di sogni di plastica. Costretta a barattare i propri valori per sopravvivere e difendere i propri interessi. Ritornare per responsabilità, poiché ogni viaggiatore è un messaggero e il suo lavoro è quello di raccontare il mondo e di allargare quello di chi lo ascolta. Ritornare per creare nuovi progetti e sviluppare nuove idee. Ritornare per poter brillare di una luce ispiratrice. Per svuotarsi le tasche di conoscenze e per regalarle a chiunque ne abbia fame, a chiunque sia curioso, a chiunque sia alla ricerca. Andare e tornare perché questo è il ciclo naturale della vita. Un ciclo inevitabile. Inutile nascondersi o ripararsi dal cambiamento.

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