Ad Amsterdam una rete ospitale contro i grandi campi profughi

Scritto per Left, 2 Giugno 2016

“Gli olandesi non hanno nulla in contrario all’arrivo dei rifugiati” afferma Lian Priemus, 50 anni e una carriera da produttrice televisiva alle spalle. “La realtà è che la gente ha voglia di aiutare, ma prima deve capire come”. Lei ha deciso di farlo a modo proprio, dopo aver visto le condizioni di vita in cui versavano molti siriani al mega campo di Nijmegen, l’inverno scorso. “Il modo in cui il governo e la principale agenzia per i richiedenti asilo, la COA, hanno operato nel territorio è scandaloso. Non ha senso concentrare la gente in un posto isolato e sperare che si possa integrare. Azioni del genere generano resistenza e malcontento nella popolazione.” Per questa ragione Lian si è messa a cercare uno spazio in centro città, dove poter, piano piano, ospitare un po’ di queste persone. “Volevo dimostrare che progetti di dimensioni ridotte possono permettere ai rifugiati di riprendere il controllo delle loro vite. Dopo i facili ottimismi dei primi arrivi, la gente nei campi stava perdendo la speranza di poter finalmente ricominciare da zero.” E’ questa l’idea di base del progetto ‘Gastvrij Oost’, ‘l’Est ospitale’, che ha trasformato in casa l’ufficio di un’agenzia immobiliare che era rimasto vuoto da due anni. L’agenzia voleva evitare che l’edificio venisse occupato e lo ha messo a disposizione del progetto fino al primo di Agosto, accollandosi le spese per l’elettricità e la manutenzione. Ma il supporto più importante al progetto è arrivata dalla municipalità di Amsterdam. “Il loro aiuto ci ha dato forza e speranza. Ci hanno promesso che in nessun caso la gente sarebbe rimasta senza cibo e che a partire dai primi di Agosto, ogni persona ospitata in questa casa potrà trasferirsi in un’abitazione offerta dal governo” racconta soddisfatta Lian. Le donazioni della gente hanno fatto il resto: vestiti, mobili e cibo in grande quantità. Refad, 50 anni, è una delle 31 persone ospitate nell’edificio. Fra pochi giorni la sua famiglia arriverà dalla Siria, grazie al programma di ricongiungimento famigliare e ora sta chiedendo a Lian qualche risorsa in più per i suoi cari in arrivo. Lian lo riassicura, raccontadogli che ci saranno abbastanza donazioni per soddisfare i bisogni di tutta la famiglia. “E’ fantastico che questa cosa stia per succedere” racconta Rick, uno dei volontari, che ha un negozio di biciclette nei paraggi e viene almeno una volta a settimana ad insegnare ai rifugiati come aggiustare le loro bici. Ad ognuno dei nuovi inquilini ne è stata data una. Le stanze della casa sono spaziose. Mostafa, 19 anni, vive in una di queste. Non nasconde la sua felicità attuale, dopo aver passato sei mesi orribili nel campo di Nijmegen. “In quel posto nel mezzo del nulla nessuno ci dava retta. A nessuno importava chi eravamo. Vivevamo in una stanza senza tetto, in otto persone, senza sapere cosa sarebbe successo. Faceva molto freddo e spesso il riscaldamento non funzionava. Avevo un braccialetto da mostrare ogni volta che entravo nel campo, altrimenti non mi lasciavano passare. Nessuno aveva idea di quanto saremmo rimasti in quel posto. Spesso ho pensato che avrei fatto meglio a rimanere in Siria, soprattutto quando incontravo gente che cominciava a tornarci davvero, delusi e disperati per le condizioni in cui vivevamo. Credo di aver vissuto le peggiori e le migliori esperienze della mia vita in quel posto” racconta Mostafa. “Mi sono trovato per la prima volta davanti a centinaia di siriani provenienti dai quattro angoli del paese. Solo allora mi sono reso davvero conto del dramma della nostra nazione e della nostra miseria attuale.” Mostafa ora sta studiando l’olandese e a Settembre inizierà un corso di un anno di Java script. Poi l’università, facoltà di Lavoro Sociale all’UvA. “Posso dirmi felice di essere qui, adesso” mi racconta, chiedendomi di aiutarlo a scrivere un messaggio romantico ad una volontaria italiana, che ha incontrato qualche mese fa qui in Olanda. Ad Agosto si trasferirà in un nuovo appartamento ed è entusiasta che la sua nuova vita stia per cominciare. Lian Premius è convinta che questo progetto sia stato fondamentale per facilitare l’integrazione di questi ragazzi. “Volevo soltanto dimostrare che ciò che una persona vuole fare davvero può essere possibile. Ciò che basta, a volte, è soltanto un po’ di sana dedizione”.   

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