Camere con vista sull’Europa che non c’è

Pubblicato su Pagina 99, 30 Gennaio 2016

“Non pensare. Immaginati che stiamo danzando” sussurra Shevin all’orecchio del marito Aral, nell’affrontare le acque dell’Egeo su un’imbarcazione di fortuna, con l’isola di Lesbo come destinazione. Prima che Aral subisse delle minacce per un suo scomodo reportage giornalistico realizzato nel Kurdistan iracheno, i due non avevano mai pensato di partire. Da un giorno all’altro si sono trovati tra le migliaia di migranti e richiedenti asilo in movimento verso l’Europa. Una volta arrivati al campo di registrazione di Moria hanno sentito parlare per la prima volta del relocation program da alcuni membri dell’ONG Praksis. Il programma, gestito dall’Unione Europea, è aperto ai rifugiati provenienti da Siria, Iraq, Eritrea, Yemen, Bahrain e Swaziland, che possono parteciparvi sulla base delle percentuale delle domande di asilo accettate dai paesi di destinazione, che deve essere superiore al 75%. I profughi afghani, che versano spesso in gravi condizioni economiche e che hanno costituito il 20% del totale degli arrivi in Europa nel 2015, sono esclusi dallo schema secondo questi criteri. L’idea di stare per qualche settimana in un hotel ad Atene, in attesa di un volo gratuito per un paese europeo anziché attraversare i confini dei paesi balcanici, hanno convinto Aral, Shevin e il fratello Rewan ad accettare. “Ci hanno chiesto di scegliere otto paesi tra quelli che hanno dato disponibilità al programma e di aspettare una risposta a breve.” L’attesa però si è rivelata ben più lunga del previsto e i tre hanno lasciato Atene soltanto Lunedì scorso, con un volo per la Finlandia, dopo oltre due mesi di attesa all’hotel Golden City di Atene. “La sola cosa che conoscevamo della Finlandia è che fa parecchio freddo” racconta Aral scherzoso, “ma siamo felici di poter finalmente partire e cominciare una nuova vita”. Alla luce dell’insuccesso del programma, ideato per distribuire in maniera più equa i richiedenti asilo tra i vari paesi dell’Unione, Aral e famiglia possono considerarsi fortunati. Delle 160,000 persone che l’Unione Europea si è promessa di trasferire a partire dal Settembre scorso, solo 414 sono state accettate dai paesi di accoglienza. Il Regno Unito e la Danimarca non hanno partecipato al progetto dal principio, l’Austria si è ritirata a programma in corso, Cipro e Slovacchia hanno espresso di voler accogliere preferibilmente rifugiati cristiani, mentre Ungheria e la Slovenia hanno volontariamente rallentato in ogni modo le operazioni. La Svezia, dopo aver accolto migliaia di rifugiati negli ultimi mesi, ha richiesto di diventare un paese di invio, anziché di ricezione dei rifugiati. Ad ogni modo, le ragioni dell’insuccesso di questi trasferimenti non vanno ricercate solamente nella scarsa cooperazione tra i paesi dell’Unione, ma anche nella scarsa conoscenza dei rifugiati stessi riguardo ad alcuni dei paesi di destinazione. Daniele Esdras, direttore dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) ad Atene, afferma che “molti tra i richiedenti asilo non hanno alcuna informazione riguardo a paesi come Cipro e Lituania. Per convincerli ad accettare il trasferimento dobbiamo metterli in contatto con persone che sono già state trasferite e che possono rassicurarli loro sul destino che li attende”. Ma all’hotel Golden City di Atene, dove decine di rifugiati aspettano con ansia il giorno della partenza, ogni notte qualcuno decide di abbandonare il programma e mettersi in rotta per il confine macedone, rendendo così inutili gli sforzi economici dell’UE. “Qualche sera fa è partita un’altra famiglia di siriani. E’ una situazione che si ripete regolarmente. Chi non è soddisfatto della destinazione che gli viene offerta preferisce mollare tutto e andare.” A parlare è Mahmoud, siriano che da un mese e mezzo aspetta di conoscere il suo destino. Per lui, sua moglie e i suoi tre figli portatori di handicap, la rotta balcanica è a dir poco proibitiva. “Grazie a questo programma posso risparmiare ai miei figli un altro terribile viaggio, dopo quello in mare. Siamo ansiosi di costruirci una nuova vita altrove.” Tra i rifugiati che soggiornano al Golden City sono in molti ad aver vissuto esperienze traumatiche, sia nei paese d’origine che durante il viaggio verso la Grecia. E’ soprattutto per questi individui più fragili che il relocation program dovrebbe funzionare rapidamente. Maher Dahood, siriano di 40 anni, dentista nella sua città d’origine Deir Azzor, sta aspettando da oltre due mesi di andarsene da Atene. Sua moglie e le sue due bambine sono morte a pochi metri dalla coste greche, inghiottite dal mare dopo aver scampato gli orrori della guerra in Siria. Ha speso 4000 euro per poterle seppellire nel cimitero mussulmano di Kos, dopo averne spesi quasi seimila per il viaggio che si è trasformato in tragedia. “Volevo regalare ai miei figli un futuro migliore ma le mie bambine mi sono morte davanti agli occhi.” racconta con uno sguardo perso. “Ora voglio andare in Germania, dove mio fratello vive con sua moglie e suoi figli. Il mio bambino ha bisogno di una donna che si prenda cura di lui per crescere. Spero di poter continuare a fare il dentista, per poter curare e tornare a far sorridere i bambini.”

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